Filippo Mignini, Passione dell’intelletto e levità dello sguardo. Commemorazione del prof. Omero Proietti

Filippo Mignini

Passione dell’intelletto e levità dello sguardo.
Commemorazione del prof. Omero Proietti (letta l’8 febbraio 2023 presso l’Aula A di Filosofia di via Garibaldi 20, Università di Macerata. Omero Proietti, nato nel 1954, è mancato il 4 febbraio 2023)



Magnifico Rettore, sig. Direttore e membri tutti del Dipartimento, cari studenti, cara Beatrice, carissima Arianna,
mai avrei immaginato di essere chiamato un giorno a pronunciare un saluto e a proporre un profilo, scientifico e umano, del collega, collaboratore e da oltre quarant’anni amico Omero Proietti. Ho accolto l’invito del prof. Mancini con animo turbato e con l’incertezza derivante dalla necessità di far tacere, per quanto è possibile, emozioni ed affetti, scegliendo ed esponendo in breve tempo ricordi, pensieri, atti, che hanno reso Omero, comunque, per ciascuno di noi e per moltissimi studenti, una “preziosa costante e amichevole presenza” nel Dipartimento, come mi scriveva ieri una ex allieva. Non entro, se non in punta di piedi, negli aspetti più intimi dell’esperienza umana di Omero, lasciando a Beatrice e ad Arianna la custodia affettuosa di questo sacro recinto.
Vorrei iniziare sottolineando un tratto caratteristico della personalità del prof. Proietti. Lo farò non con mie parole, ma prendendo a prestito quelle che F. Nietzsche usava in una lettera all’amico Overbeck per descrivere il suo primo incontro con Spinoza e i sentimenti che tale incontro avevano suscitato in lui. Scrive Nietzsche: «Sono pieno di meraviglia e di giubilo! Ho un precursore e quale precursore! Io non conoscevo quasi Spinoza: per “istinto” ho desiderato ora di leggerlo. Ed ecco che la tendenza generale della sua filosofia è identica alla mia: fare dell’intelletto la passione più poderosa». E quando l’altro ieri il prof. Mancini mi ha chiesto un titolo per questa commemorazione, mi è subito sembrato che l’intelletto e la sua cura, in sé e negli altri, fosse divenuta davvero nel prof. Proietti la passione più poderosa. Intendere, intelligere, entender, le-havin, verstaan, per dirlo con le lingue da lui più frequentate. Qualsiasi innocente passione, che per i più è semplice svago e passatempo, come la ricerca di funghi o l’interesse per le erbe selvatiche, in lui si trasformava in esperienza scientifica rigorosa, iniziando dall’utilizzo dei termini latini e dalla raccolta della più ampia documentazione sull’argomento. Una volta mi ha detto, se non ricordo male, che aveva accumulato nella casa di Sangemini una seria documentazione bibliografica proprio sui funghi. La sua memoria prodigiosa gli permetteva di trattenersi per ore sulle caratteristiche e proprietà di erbe selvatiche comunissime, della cui presenza sui cigli delle strade o sotto i nostri piedi i più neppure si accorgono. E non si trattava di astratto e freddo metodo scientifico applicato alla natura: era l’amore, la partecipazione e il godimento che questa produceva in lui ad alimentare il bisogno della comprensione perfetta. Amore che lo conduceva spesso a compiere lunghe passeggiate nelle campagne, nei boschi e nei monti di questa terra, da solo o insieme ad altri. Perché dovrei tralasciare qui di ricordare il vero e proprio sodalizio che in primavera stringeva con il nostro compianto Roberto Capriotti nella ricerca di asparagi?
Proviamo ora a trasferire questa passione e questo metodo nell’ambito più rarefatto degli studi filologici, storici e filosofici: potremo toccare con mano alcuni vertici della ricerca negli ultimi quarant’anni nel mondo. Non tutti sanno che Omero Proietti, dopo la laurea in filosofia nell’Università di Perugia con una tesi su Spinoza, e dopo aver compiuto studi di perfezionamento e di ricerca all’Istituto Italiano per gli Studi Storici di Napoli e all’Istituto Antonio Banfi di Reggio Emilia, ha perseguito una seconda laurea in filologia classica presso la stessa Università di Perugia, compiendo sostanzialmente l’intero ciclo di studi. Sul finire del 1984 ricevetti una prima lettera di Omero, allora nell’Università di Perugia, che mi inviava l’articolo Sul problema di un assioma inutile in Spinoza, pubblicato l’anno precedente nella “Rivista di Filosofia neoscolastica”. Chiedeva di incontrarmi e mi illustrava le ricerche in corso. Venne infine a trovarmi a Roma, con in mano l’ampio e fondamentale articolo Adulescens luxu perditus. Classici latini nell’opera di Spinoza, fresco di stampa. Era il 1985. Io ero impegnato da oltre un mese nella revisione dell’interpunzione del manoscritto A del Breve Trattato, che studiavo proiettando sull’unica parete libera del mio piccolo studio di casa il microfilm relativo. Omero mi confidò qualche anno dopo, scherzando, che era stato impressionato dalla piccolezza del mio studio e che mi vedeva in esso come un astronauta nella sua capsula spaziale. Capii subito che quel ragazzo di trent’anni, dallo sguardo acuto venato di bonaria ironia, avrebbe potuto offrire contributi importanti alla nuova ricerca spinoziana. Del tutto innovativo era il tentativo di scomporre la levigata superficie dei testi, mostrandone la genesi letteraria e, per così dire, il materiale da costruzione, ossia una fitta rete di criptocitazioni di classici latini. Le cinquanta dense pagine dell’Adulescens luxu perditus, di sallustiana memoria, avevano aperto una nuova e feconda strada nella ricerca spinoziana. In quel momento né Omero né io sapevamo che, negli stessi mesi, un maturo filologo classico dell’Università di Groningen aveva avviato una analoga ricerca. Quando il compianto collega e in seguito amico Fokke Akkerman diede alla luce le sue indagini, ignorando anch’egli quelle parallele di Proietti, si poterono valutare le concordanze e le differenze tra i risultati delle due ricerche: in ogni caso si comprese che un nuovo potente strumento d’indagine era stato costruito, non soltanto per l’analisi filologica, ma anche per quella della stratificazione storica dei testi e per la loro datazione. Quando fui chiamato come professore ordinario nell’Università di Macerata nel febbraio del 1987, iniziai subito a studiare il modo di poter chiamare da noi Proietti per costruire insieme un centro di riferimento internazionale negli studi su Spinoza. Ci riuscimmo infine nel 1991.
Per 32 anni, trasferitosi a Macerata, Proietti è stato una presenza feconda e costante nell’allora Dipartimento di Filosofia, al servizio della ricerca e della didattica. Più di dieci importanti monografie, l’edizione critica del Trattato politico di Spinoza accolta nell’ultima edizione parigina delle Opere complete; ricerche e materiali per l’edizione della Grammatica della lingua ebraica; ulteriori ricerche sui classici latini in Spinoza culminate nel Philedonius 1657 pubblicato da Eum nel 2010; la traduzione del Trattato teologico-politico, del Trattato politico e di un certo numero di lettere per le Opere complete dei Meridiani, di cui ho avuto la responsabilità; decine e decine di articoli spesso originali e innovativi nelle principali riviste nazionali e internazionali. La competenza nella lingua ebraica gli consentì di ampliare ricerche importanti nelle fonti ebraiche di Spinoza, a cominciare dal volume del 2003 La città divisa. Flavio Giuseppe, Spinoza e i farisei. Da qui ricerche sempre più strette su una delle fonti più prossime a Spinoza, Uriel da Costa. Nel 2005 Proietti mostra definitivamente che l’attribuzione indiscussa dell’Exemplar humanae vitae a Da Costa è un falso storico; nel 2014 pubblica da Eum, nella collana Spinozana, l’edizione critica dell’Exame das tradiçoes phariseas; del 2016 è la pubblicazione, con Giovanni Licata, degli Atti di un convegno internazionale, Tradizione e illuminismo in Uriel da Costa. Ricordo infine le due ultime vaste monografie (Variazioni dacostiane, 2017; Ladinar dacostiano, 2021) nella quali ha ricostruito la ricchissima biblioteca dacostiana e documentato la straordinaria fortuna “internazionale” di due classici della tradizione sefardita, la Bibbia di Ferrara e la Consolaçam di Samuel Usque.
Vastissima è stata anche l’offerta didattica di Omero Proietti nei diversi corsi di Storia della filosofia moderna e contemporanea: da Machiavelli e Lorenzo Valla a Hobbes e Hume; da Voltaire e D’Holbach e Pietro Verri e Cesare Beccaria; da Condorcet ed Etienne de la Boethie a Freud, Leo Strauss, Foucault, Sartre, Hanna Arendt, Kolakowski e molti altri. Dal 2005 al 2022 ha diretto 98 tesi di laurea, è stato correlatore in altrettante, tutore di una decina di tesi di dottorato in Storia della filosofia. Per 32 anni, la piccola scomoda stanza al centro del corridoio è stata una costante fucina di testi, di idee e di prezioso servizio intellettuale per colleghi e studenti, punto di irradiamento della poderosa passione intellettuale di cui parlava Nietzsche.
Anche la passione dell’intelletto, tuttavia, come tutte le passioni, ha un costo e un prezzo da pagare. Sentiamo come Nietzsche prosegue la sua lettera a Overbeck: «Poi io mi ritrovo in cinque punti capitali della sua dottrina; questo pensatore, il più abnorme e solitario che sia esistito, è appunto il più vicino a me in queste cinque argomentazioni: egli nega il libero arbitrio, la finalità, l’assetto morale del mondo, il non-egoismo, il male. Anche se tra Spinoza e me restano enormi differenze, queste sono da attribuire soprattutto alla differenza dei tempi, della cultura, della scienza. In Summa: la mia solitudine – che, come capita in montagna alle grandi altitudini, spesso mi toglieva il fiato e mi faceva trasudare sangue dai pori – è ormai, per lo meno, una solitudine in due. Quale prodigio!».
Chiunque abbia sperimentato la passione dell’intelletto e si sia spinto in regioni nelle quali nessun altro era prima giunto, ha conosciuto in qualche modo la solitudine di cui parla Nietzsche. E a me pare che, malgrado le apparenze e il continuo essere a disposizione di amici o nemici o studenti, malgrado l’agorà del corridoio o delle scale o di via Garibaldi, dove le conversazioni iniziate nella stanzetta spesso finivano, l’esperienza di una profonda solitudine, prezzo della libertà, rendesse carismatica e feconda la figura del prof. Proietti. E non fu sempre solitudine immune da sofferenza e dolore. Non gli furono risparmiati né attacchi inconsulti né ferite profonde. Ho vissuto da vicino e condiviso con lui un attacco scomposto e violento alla sua traduzione del Trattato teologico-politico. Non una parola di sdegno o invettiva ascoltai dalla sua bocca. Assorbita l’amarezza del colpo, si mise al lavoro esaminando imputazione per imputazione, talvolta smontandola, talvolta riducendola, talvolta riconoscendola; così facendo e anche analizzando errori e fraintendimenti dell’accusatore mi disse un giorno di avere già scritto più di trecento pagine che aveva intenzione di pubblicare. Qualche tempo dopo gli chiesi a che punto fosse con quel lavoro e mi rispose che aveva cambiato opinione, che voleva lasciare il giudizio alla storia e che preferiva impegnare tempo ed energie non per rispondere ad accuse, ma per avanzare in nuove ricerche. E le trecento pagine, se non sono state distrutte, dovrebbero essere da qualche parte tra le sue carte o nascoste in qualche file del suo computer. Venne poi l’insulto più offensivo, da parte di una mediocre commissione nazionale, che gli negò l’idoneità a professore ordinario. I giudizi di tre commissari contrari denunciavano con chiarezza la loro incompetenza nella filosofia spinoziana mostrando più volte di confondere Trattato politico e Trattato teologico-politico. Vi erano evidenti i motivi di ricorso e io insistetti per giorni e giorni affinché si decidesse a compiere questo passo. Ma anche questa volta non volle e non volle nemmeno più ripresentare la propria candidatura in tornate successive. Preferiva concentrare le sue energie nel fecondo lavoro più che in dispute infinite e sfinenti. Ancora una volta preferiva lasciare alla storia, giudice insuperabile per competenza, la valutazione della propria attività di studioso.
Educato dagli Stoici e da Spinoza, Omero aveva maturato una profonda e calma visione della complessità delle cose e della loro inestricabile eterna necessità. Questa acuta consapevolezza conferiva al suo sguardo quella certa levità sorridente, non priva tuttavia di sottili e profonde inquietudini. Queste, talvolta, affioravano prepotenti e lo conducevano ad
analisi pessimistiche, mai istintive o infondate, sulla condizione presente del mondo, del nostro Paese, sui problemi del sistema universitario e sul suo destino. Mai, tuttavia, per quel che ho potuto vedere in lui, la crudezza limpida e disincantata dell’analisi lo conduceva alla pigrizia e all’apatia: riusciva a vincere sempre la tristezza con la fermezza dell’azione di ricerca, sorretto da quella potente passione dell’intelletto che era per lui fonte inesauribile di gioia.
Non so dire per quale recondita ragione neppure la morte è riuscita a cancellare dal suo viso il lieve sorriso che per tutta la vita ha donato a chi lo avvicinasse. Chi abbia avuto la possibilità di trascorrere qualche minuto con lui nella camera mortuaria, non può non essere stato colpito dalla calma serenità del suo volto o, come continua e ripetere mia moglie Nadia, del suo “sguardo”: totalmente libero da inquietudini e ansie, del tutto conciliato con l’eterna necessità delle cose.
Vorrei concludere questo mio profilo ospitando alcuni versi che una nostra ormai lontana e brillante allieva, la prof.ssa Paola Mancinelli, oggi docente di storia e filosofia nel Liceo Galilei di Ancona, mi ha inviato In memoria del prof. Omero Proietti, accompagnandoli con queste parole: «Una grande perdita, ma anche un grande incitamento alla letizia intellettuale, alla libertà di ricerca».

Questi sono i versi:

Infine vedrai,
il misterioso legame
che, sottratto all’apparire,
fa di ogni cosa
il seme dell’eternità,
trasudando divina
ebbrezza
all’intelletto assetato.
Lo scoprirai inedito
E sarà stupore
Di riconoscerne
Il tuo compiuto,
luminoso sembiante.

Mercoledì 8 febbraio 2023